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Il
Bambino, l’Orso e il Grande Cacciatore
I.
Nella stanza tappezzata di
mappe,
carte vecchie e nuove e fogli d’appunti fissati su lavagne di sughero,
il denso e acremente profumato fumo delle pipe e dei sigari rendeva
palpabilmente
tangibile la tensione che si era accumulata, nella quale ognuno dei
presenti
altro non era che un diapason in perenne, intensa vibrazione, sì
d’aumentare quella tensione ogni minuto di più. Di fuori dalle
imposte,
la notte fredda appannava i vetri nascondendo il paesaggio e chiudendo
ancor più quei pochi uomini in quella stanza, soli con le
proprie
idee, le proprie convinzioni, i vicendevoli attriti, i sentimenti che
la
vicenda in corso facilmente trasformava dalla sostanziale, solita
neutralità
ad un più o meno marcato odio come viceversa, ad una
volontà
di
amichevole reciprocità maggiore di quella ordinariamente
quotidiana.
Alberto manteneva una costante
espressione
meditabonda ed alquanto attenta. Di sotto i folti baffi, le labbra non
tradivano alcuna pur leggera emozione, seguendo egli i vari discorsi
degli
uomini con il movimento delle sole pupille azzurre, e lasciando che
l’intreccio
dei discorsi si sbrigliasse e si chiarificasse autonomamente. Mai, in
quei
dieci e oltre anni di comando della locale stazione forestale, aveva
avuto
a che fare con una situazione del genere, e mai sarebbe arrivato ad
immaginare
che una vicenda comunque di routine – almeno gestibile come poco
più
che normale amministrazione – avrebbe scatenato un tal vespaio
vorticoso
e stizzito di discussioni e di vertenze. Si era resa necessaria quella
riunione, con la convocazione non solo dei più diretti
interessati
ma anche degli altri gestori degli alpeggi, dei pastori, del sindaco e
di chiunque potesse avere una qualche voce in capitolo di potenziale
aiuto
e consiglio, nella speranza di trovare una via risolutiva comune per la
situazione in corso ma anche con il rischio di porre a diretto contatto
diverse altre vicende individuale che, con l’occasione, dipanavano
l’una
contro l’altra sequele, a volte assai lunghe, di relazioni, confronti,
contrasti, contese e conflitti più o meno duri ma quasi sempre
irrisolti.
La discussione fremeva.
- Vi ripeto: è
già
la terza volta in due settimane! Ho perso quasi venti galline e due
capre
delle migliori! Se è stato questo stramaledetto orso,
ammazziamolo,
che aspettiamo!… Ma perché dunque, se è stato
effettivamente
un orso, a Gionata non è successo niente?
- Ehi, cosa vorresti dire,
Daniel?
Che sono io a indirizzare questa bestia contro le tue stalle? Ah, bada
che…
- Non ho detto questo!
- Si che l’hai detto! Eh,
Pepi,
l’hai sentito anche tu cos’ha detto il vecchio Daniel!.
- Si, ma che c’entra,
accidenti,
non tiratemi in mezzo alle vostre beghe, se l’orso preferisce le bestie
di Daniel vorrà dire che le tue sono più scadenti!.
- Non ti ci mettere anche tu,
Pepi!…
- Signori! Signori!… - Dopo
parecchi
minuti di silenzio e di ascolto attento, Alberto intervenne, con la sua
forte voce baritonale che rimbombò nella stanza. Qualcuno
riattizzava
il fuoco della propria pipa con veloci e secchi movimenti delle mani e
delle dita, segno evidente di grande nervosismo.
- Signori! Cosa serve
mischiare
in questo nostro problema altre questioni che niente vi hanno a che
fare?
Che serve? Il problema è attuale e presente, molto di ciò
che dite è passato e risolto o comunque se non è tale si
trascina tra voi solamente in forma di rancore e - spero tuttavia di
sbagliarmi
- in qualche volontà di rivendicazione e vendetta! Che c’entra
ciò?
Non mi sembra che la nostra iniziale intenzione comune fosse di
ritrovarci
qui ed andare ad aprire gli armadi degli altri per scoprirci vecchi
scheletri
impolverati, e non mi pare che le parole abbiano mai risolto i
problemi,
soprattutto quando esse siano infarcite da buone dosi di
animosità!
- Giusto, Alberto! -
intervenne
il sindaco - Giusto! Quante di queste vostre questioni interessano
solamente
la vostra sfera personale o poco più? Il problema è assai
più semplice, pur nella sua drammaticità: tra di noi vi
sono
amici che hanno perso un notevole numero di capi di bestiame delle loro
proprietà, di piccola a anche, in qualche caso, di più
grossa
taglia; la causa di ciò potrebbe essere un qualche grande
predatore,
giusto? Facilmente un orso, dacché molti ve ne sono nei valloni
e sui versanti più inospitali della Grande Montagna. Bene, il
problema
è questo, punto e basta. Noi siamo qui per trovare una soluzione
a questo problema, e non ad altre situazioni che abbisognano di altre
soluzioni
e che mai in questa sede, questa sera, potrebbero saltar fuori. Posso
capire
che per molti di voi il danno subito è grosso e grave, e che
ciò
possa generare notevole nervosismo e rabbia, ma la soluzione
dovrà
essere razionale e da tutti accettata, e la razionalità impone
la
riflessione e non certo la più nervosa impulsività!
Gli uomini si erano calmati,
bisbigliando
leggermente al termine dell’intervento del sindaco. Qualcuno guardava
in
terra pensieroso, qualcun altro perdeva lo sguardo nel buio totale al
di
fuori dei vetri, in alcuni era evidente la difficoltà di evitare
ciò che il comandante dei forestali ed il sindaco stavano
cercando
di non far che accadesse. Molti di quei contrasti derivavano anche
dalle
passate generazioni, dai padri o addirittura dai nonni, e col tempo le
vertenze s’erano solamente raffreddate ma non certo erano svanite, come
era abitudine per il rude carattere alpigiano di quegli uomini. E pur
quando
la collaborazione mai mancava – ed anzi c’era tra i presenti più
nervosi chi s’era prodigato per aiutare nelle situazioni di
difficoltà
giusto quel vicino che ora, magari, accusava o al quale rinfacciava
questa
e quell’altra storia – spesso quei vecchi rancori, appunto, risorgevano
ad inasprire i vicendevoli rapporti di vicinato. Ed erano amici, grandi
amici quegli uomini, ma la rudezza della loro vita in quota aveva
evidentemente
segnato anche il carattere, tanto altruista e generoso quanto guardingo
e in certi casi fin troppo vendicativo – quando poi, nella maggior
parte
di quei casi, la rudezza si estrinsecava in furibonde discussioni
violente
nel tono di voce e nulla più.
Ma ora la tensione pur intensa
e
palpabile, se non altro, si stemperava un poco nel ripristinato
silenzio
nel quale tutti gli uomini presenti riponevano le loro istanze e le
aspettative…
“Bene” riprese Alberto
“vediamo
ora con calma e raziocinio di trovare una comune decisione sul da
farsi”.
II.
“Si… Mmmmm… Mi sembra la
soluzione
più efficace… Sì, sì.”
“Efficace, efficace! Chi
è
costui? Che garanzie ci dà? Non voglio estranei sulla mia terra,
neanche dove ci sono solo massi!”
“Via, Ettore, non ti puoi
continuamente
impuntare su queste vecchie storie!”.
“Ah, storie! Storie passate!
Senti
Agostino, prima i furti, gli anni scorsi, poi i danni continui del
maltempo,
ora pure le razzie, di qualche dannata… Dannatissima bestia!… Ho
già
avuto troppi grattacapi! Il fucile l’ho, che diamine, so difendermi
anche
da solo!”.
“Si, ma con che rischio?…”.
“Col rischio della nostra
solita
vita in montagna!”.
Le luci illuminavano
tenuemente
la stanza della baita di Agostino, illuminavano le facce sulle quali
mille
e mille diverse espressioni continuamente variavano il gioco delle luci
e delle ombre, evidenziando certi stati d’animo piuttosto che altri,
scavando
ancor
più i solchi delle rughe che tracciavano le rossastre pelli di
quei
volti, pelli abituate alle più difficili condizioni
atmosferiche,
pelli su cui la morsa del gelo si serrava con tutta la propria forza in
interminabili bufere di qualche terribile Gennaio come picchiava,
viceversa,
con la veemenza d’una sferza terribile il bruciante Sole di Luglio,
brunendole
senza mai peraltro vincerle al dolore di eventuali scottature –
dacché
il fuoco interiore che animava quei montanari era certo più
intenso
e bruciante d’ogni altro naturale, e ben capace di scottare l’animo di
tribolazioni, angosce contrastanti, acredini infinite...
Ma la seconda riunione in
pochi
giorni del gruppo di uomini sembrava riuscire ad incanalare le
variegati
voci finalmente verso una decisione comune, pur se forti riemergevano
in
certi momenti i soliti attriti, e in tali momenti le voci s’alzavano, i
toni si inasprivano divenendo arrochiti, i visi s’illuminavano di ben
diverse
luci rispetto a quelle delle discrete lampade del locale – ciò
che
ugualmente era successo nella precedente lunga adunanza presso la
stazione
della Guardia Forestale superando il limite della comunicabilità
costruttiva, nonostante la paziente, diplomatica e continua mediazione
del comandante Alberto, del sindaco e di quant’altri si prodigassero
verso
tale scopo.
Tuttavia, ora, pareva
generarsi
una maggiore e comune consapevolezza che una soluzione era da trovarsi,
dacché i danni materiali ed economici per alcuni dei presenti si
stavano facendo realmente insostenibili, e in più, come
auspicava
Alberto, ciò si rendeva necessario nella speranza che una comune
e positiva risoluzione del problema avesse spianato la strada per
risolvere
anche tutto quel lungo corollario di più piccole questioni
personali
o appena più per le quali già s’era perso non poco tempo
in sterili e confuse discussioni.
Ma inevitabilmente, in
certi momenti,
i toni si alzavano e parecchio, le mani s’agitavano con nervosismo,
sì
da parere di giungere, in alcuni frangenti, quasi al limite dello
scontro
violento.
Nelle stanze al piano
superiore
della baita di Agostino quelle voci – spesso urla, a volte rabbiose –
giungevano
nel silenzio profondo dell’ora tarda e, nonostante le porte chiuse,
assai
ben chiare. Nella piccola camera appena in cima alle scale il piccolo
Lorenzo
- il figlio di Agostino - non riusciva a prendere sonno. Nella fioca
luce
alimentata dall’illuminazione sottostante e dal cielo stellato di fuori
dei vetri, le semplici suppellettili del locale tracciavano flebili
profili
luminosi, e su di essi i giocattoli, i libri di scuola, i piccoli sci e
lo zaino che egli usava nelle uscite su verso la Grande Montagna con il
padre o con il nonno. Gli occhi del piccolo si poggiavano ad
intermittenza
su quelle poche cose, sinonimo di momenti felici e spensierati, quasi a
voler ricercare un qualcosa di solito da porre in contrasto a quelle
voci
che da sotto portavano discorsi difficili, adirati a volte, urla e
confusione
spaventevoli. Il piccolo tendeva l’orecchio, curioso e spaurito, nel
cercare
di comprendere quei discorsi così accalorati: già gli
pareva
di credere che i signori al piano di sotto stessero decidendo qualcosa
di assai triste… E parlavano, infatti, soprattutto di una cosa brutta,
molto brutta e cattiva, del chiamare un uomo, un grande cacciatore per
uccidere un orso, uno dei grandi orsi che vivevano nelle zone
più
impervie della Grande Montagna, che egli non aveva mai visto se non
sulle
illustrazioni dei libri e che parevano tanto simpatici e buoni se pur
grossi
e forti nella stazza, sì da far che egli potesse essere sicuro
che
mai uno di quei grandi animali sarebbe arrivato a fare tutto che quello
che gli uomini riuniti al piano inferiore dicevano… Tanto più
che
pareva non esserci tutta quella certezza sulla reale identità
dell’uccisore…
Lorenzo stringeva il pesante
piumone
del letto tra le braccia. Si spaventava ogni qualvolta qualcuno
pronunciava
parole forti, od altre riferite a brutte cose, sparare, uccidere,
fucile,
eliminare, assassino… Una rapida scarica di brividi percorreva la
piccola
ed esile schiena, quasi che le parole evocassero all’istante immagini
di
incubi la cui visione nel pieno della notte lo avrebbe tosto svegliato
e fatto precipitare nella stanza dei genitori a ritrovare un po’ di
serenità
e tranquillità… E le piccole mani stringevano le coperte
avvolgenti
il corpo seduto sul piccolo letto, in una sorta di agognata ricerca di
sicurezza e di fuga da quelle brutte cose… Ma come poteva essere che
nella
Natura, tra le bellezze della Grande Montagna, un animale buono potesse
fare quello che gli uomini dicevano?… Come poteva essere?… Come poteva
essere un assassino, se tanti gli avevano raccontato che gli animali
del
bosco e della Grande Montagna vivevano tutti in armonia con la Natura
che
li ospitava?…
Lorenzo aveva quasi voglia di
piangere.
Una gran tristezza gli avvolgeva il piccolo cuore, e una intensa
confusione
la mente. Fuori, nella notte infinita le stelle parevano luccicare
ancora
più forte. Dalla baita posta leggermente in alto rispetto al
paese
– ove prendevano ad infittirsi le maestose abetaie sostituendosi alle
ampie
e solari praterie erbose – l’osservazione del paese pareva quella d’un
piccolo presepio assolutamente realistica, con tutte quelle piccole
luci
che illuminavano le case e le poche strade, e il fiume che scorreva non
ancora vinto dall’algida forza del gelo notturno, che presto avrebbe
dominato.
Più sopra, invece, verso i pendii alti dei pascoli, i vivaci
occhi
del piccolo vedevano le stelle e le costellazioni sorgere direttamente
dalle forme della Grande Montagna, come tante scintille che si
staccassero
luminosissime da un grande e invisibile fuoco, un fuoco non pericoloso,
non dannoso per i prati e i boschi ma viceversa bellissimo e splendente
come un tesoro nascosto tra le vette e le pareti del massiccio.
Lassù
in alto, da qualche parte, tra le foreste o in celati anfratti vivevano
gli orsi, pacifici nel loro mondo come gli abitanti di un regno tutto
loro…
Chissà, forse anche loro avevano re e regine, dignitari e
autorità,
chissà… Come poteva uno di loro fare quello che gli uomini
giù
nella stanza al piano inferiore dicevano?
Il piccolo non si era cambiato
ancora
da quando era risalito nella stanza; immobile, continuava ad ascoltare
i discorsi nitidamente udibili. Indossava la pesante giaccavento, le
scarpe,
i calzoni in lana; sul piccolo comodino in legno intagliato con gran
maestria
dal nonno vi erano i guanti e la berretta. Eppure gli pareva d’aver
freddo,
e sentiva i brividi di questa bizzarra sensazione invadergli il corpo
ad
ogni brutta parola pronunciata, e scuoterlo con la forza d’un’energia
nervosa
che lo animava come antecedentemente ad una situazione emotiva assai
intensa.
Gli venne in mente di scendere
al
piano sottostante, e gridare a quegli uomini come fossero tanto cattivi
a voler fare quello che avevano ormai deciso, e che magari si erano
sbagliati,
come tante volte i grandi dicevano ai bambini… Forse erano loro che si
sbagliavano, ora… Ma Lorenzo, pur nella leggerezza ancora infantile del
suo animo, sapeva rendersi conto che quelli mai avrebbero ascoltato un
bambino piccolo, e lo avrebbero di certo rimproverato e ricacciato
nella
sua stanza…
La tensione continuava a
scuoterlo,
tra terrore puerile e indeterminate volontà di far qualcosa… Di
dormire non se ne parlava – ormai il sonno era fuggito lontano, per
quella
notte, e la paura di vivere qualche incubo notturno era pari a quella
che
l’ascolto in corso gli procurava.
Ciò che decise, infine,
scaturì
dalla sua mente emozionata in pochi istanti, con la forza dell’istinto
che, in giovane età, si giova e si nuoce dell’incapacità
di riflettere a lungo su qualcosa… Era ancora vestito, dunque… La
piccola
finestra della sua camera aveva, poche decine di centimetri sotto, il
margine
alto della tettoia della stalla, che in basso scendeva fin quasi a
toccare
l’erba del prato… Egli s’infilò berretta e guanti, prese un
bastone
in legno che ancora il nonno aveva completamente intagliato con
artistica
finezza, grande abbastanza perché un bambino della sua statura
lo
potesse utilizzare durante il cammino: scavalcò il davanzale,
scivolò
sulla tettoia atterrando sul morbido prato… In breve, sparì
nella
profonda oscurità notturna verso il bosco…
Lorenzo aveva deciso
così:
sarebbe andato lui ad avvertire gli orsi della Grande Montagna di
quelle
brutte cose che i grandi volevano far loro…
III.
Wanda non sapeva frenare
l’agitazione
spaventosa che le impediva pure di connettere pensieri dotati d’un
senso
logico. Restava seduta su di una delle sedie in legno tornite con i
simboli
tradizionali della valle che componevano l’arredamento della cucina di
casa, battendo nervosamente entrambi i piedi per terra,
alternativamente;
poi s’alzava, girava un paio di volte in tondo – come attorno ad una
improvvisa
materializzazione delle proprie angosce, nelle quali cercava con ansia
di penetrare per svelarne i segreti e le relative soluzioni… Ma poi,
con
uno improvviso scarto, correva quasi verso la finestra, ove il Sole
appena
sorto illuminava della consueta, meravigliosa luce aurorale le linee
tese
al cielo delle cime della Grande Montagna, mantenendo ancora nella
penombra
le vaste e fitte foreste al di sotto… Quella stessa luce giungeva
quindi
a quella finestra, ove la madre angustiata gettava lo sguardo verso le
ombre silvestri cercando d’acuirlo con la speranza fremente d’un
qualche
miracolo, e tuttavia percependo viceversa d’indebolirlo, in altri
attimi
appena precedenti o successivi, con tutta la paura d’una possibile
tragedia.
Ovviamente, si sentiva assai
impotente,
ed avrebbe intensamente desiderato d’andare col marito e con gli altri
su per i boschi… “L’istinto d’una madre è unico, io forse lo
potrei
trovare più velocemente di tutti loro!…” pensava, gettando
rapide
occhiate colme di speranza e di fiducia verso quegli uomini che si
stavano
radunando sull’uscio di casa, eseguendo gli ultimi preparativi e
concordando
le azioni da compiere prima di prendere il sentiero che in fondo al
villaggio
– pochi metri dopo la casa di Agostino, di Wanda e del piccolo Lorenzo,
scompariva nel buio virente delle maestose foreste.
Tornava dunque a sedersi, la
donna,
acuendo l’udito per percepire quello che il piccolo gruppo di uomini si
diceva reciprocamente. Ma molte parole le sfuggivano, non tanto per la
scarsa chiarezza delle conversazioni esterne quanto più
perché
la mente, emozionata, tesa e stordita dagli eventi, faticava a
prelevare
dalla realtà quanto dal cuore richiesto, rigurgitante com'era di
mille e mille altri pensieri alcuni dei quali erano veramente difficili
da sostenere… Non si dava pace per non essere andata a controllare
prima
nella stanza del figlio se il piccolo dormiva tranquillamente, non si
dava
pace per aver dato, la sera innanzi, precedenza alle faccende
domestiche
da concludere, non si dava pace per non aver tenuto con sé, come
spesso capitava, il figlio dopo cena, per chiacchierare, giocare –
tanto
più che quegli uomini in discussione animata la obbligavano a
stare
nella grande cucina della baita – non per un atto di prevaricazione o
cose
del genere ma per la ben più pratica questione che, essendo il
locale
col camino occupato dalla riunione, ed essendo questo usato spesso
dalla
donna per sbrigare molte di quelle faccende di casa, non poteva che
svolgere
le stesse in cucina, con maggior spreco di tempo…
E soprattutto, non dava pace a
sé
stessa per non riuscire a comprendere il gesto del figlio… Poteva
essere
soltanto una fuga giocosa, come tante ne aveva in effetti fatte
Lorenzo?
Ma perché le precedenti tali e soltanto tali erano, e il piccolo
rientrava tranquillamente, magari con qualche rimprovero necessario ma
nulla più? E dove era andato, dove? Pur in quella ancor
tenera
età che sa trasformare la realtà catturata dagli occhi
d’un
bambino in innumerevoli reami fantastici ove il gioco è l’unica
attività consentita, egli si era sempre dimostrato assai
giudizioso,
e già mostrava di comprendere tanto il valore della bellezza
della
Natura che con il padre o con il nonno visitava nelle escursioni,
quanto
le difficoltà che la stessa poteva celare, con tutti i relativi
pericoli…
Come dunque aveva potuto
inoltrarsi
da solo, nel bosco, e per di più di notte?
E ancor peggio: quella bestia,
orso
o cosa diavolo fosse, che scorrazzava per i dintorni naturali del
villaggio,
i pascoli ed i boschi, causando ciò che aveva sentito la sera
prima
dagli uomini riuniti in casa! E il piccolo figlio… Indifeso, anch’egli
per i boschi, chissà dove!…
Un nuovo scatto
d’irrefrenabile
tensione levò la donna dalla sedia, e la fece nuovamente
dirigere
alla finestra. Fuori, gli uomini radunati e guidati dal marito e dal
guardiacaccia
Alberto, stavano incamminandosi verso la Grande Montagna.
- Ehi, Pepi! La radio l’hai
accesa?
- Sì… Sì… E’
accesa,
non preoccuparti…
- Che via stanno percorrendo
gli
altri?
- Ah, salgono dalla Fortezza,
e
poi tagliano a mezza costa verso le malghe alte, in direzione dei prati
di Mattia… – sentenziò Alberto, chiudendo il gruppo che di buon
passo prendeva a salire verso il margine del bosco. - …E’ lì che
la bestia ha colpito l’ultima volta, e dove sono state viste tracce…
Forse
ha trovato una sorta di tana in quel versante…
- E quel tipo, che dici di
quello?
– lo interruppe Gionata.
- Oh, alle cinque era
già
in piazza, ad aspettare gli altri… Beh, non lo conosco personalmente
bene
ma tutti me ne hanno parlato in termini ottimi… Niente da dire come
cacciatore,
un fiuto eccezionale, e poi conosce benissimo sia la Natura delle
nostre
vallate sia i suoi abitanti selvatici… L’ultima volta l’ho incontrato
tre
o quattro settimane fa al villaggio: anch’egli si impegna contro il
bracconaggio,
e con ciò dimostra d’avere un ottimo e nobile spirito…
- Bah!… Bracconaggio,
bracconaggio!
Che facevano di male quelli?… - disse Pepi quasi gridando, ma
abbassando
poi subito il tono di voce, convintosi immediatamente d’aver esclamato
qualcosa di assai opinabile - …Certo, a volte hanno esagerato…
- A volte! Spesso, molto
spesso,
vorrai dire! Tanto da mettere a repentaglio la presenza di molte specie
usualmente abitanti sulla nostra Grande Montagna! Lo conosci il
problema,
Pepi, e lo conoscono tutti, ormai…
- Sì, va bene, va bene…
Ma
qualche maledetto orso in meno che si prende la briga di divorare la
roba
altrui!…
Alberto sorrideva, in fondo
alla
fila del piccolo gruppo. Quegli uomini, induriti dall’aspra vita di
montagna
che ne aveva forgiato un orgoglio duro più che granito,
faticavano
parecchio a mettere da parte le proprie idee, le convinzioni ed i
principi
che ne animavano le attività quotidiane – e da cui scaturivano
quei
soliti rancori che avevano infervorato la discussione negli incontri
dei
giorni scorsi… Eppure, tutti erano lì, in quel piccolo gruppo
che
di buon passo penetrava nel bosco che pareva ancora avvolto e dominato
dalla tenebra notturna – dacché il Sole ancora indugiava a
superare
definitivamente le creste più elevate del massiccio: erano tutti
lì, con le proprie idee, i propri caratteri, le proprie
spigolosità
ma anche con il grande coraggio, la gran forza, l’altruistica
capacità
di sacrificio, l’irrefrenabile volontà di aiutare un amico…
Meravigliose
e nobili virtù certo celate dietro quella scorza rudemente
montanara,
ma sempre vive, pulsanti, capaci d’animare pure i sassi,
all’occorrenza…
Resisteva, percettibile, un filo di tensione tra di loro, e spesso a
frasi
gettate nella discussione del gruppo durante l’ascesa – frasi di
sovente
dotate di quella punta di polemica ironia utile a far comprendere che
le
idee e le convinzioni non si cambiano così facilmente –
rispondevano
occhiate storte ben cariche di altrettanto spirito di rivalsa, ma di
contro
bastava un minimo rumore, un segnale di qualche tipo anche vago –
qualcosa
che potesse segnalare la presenza del bambino o, peggio, della bestia
sconosciuta,
a zittire gli uomini ponendoli nella massima allerta in un immediato ed
armonico ritorno dello spirito collaborativo che ne faceva, dopo tutto,
un gruppo valido ed assai affiatato.
Il dramma di Agostino,
peraltro,
consentiva loro di osservare sul campo tutto quanto si poteva fare ed
escogitare
per il problema generato da quella ignota bestia razziatrice: molti,
tra
i presenti nel gruppo, dall’attività pastorizia traevano con
gran
fatica e sacrificio il sostentamento quotidiano, e un tal funesto
evento,
peraltro capitato improvvisamente con gran letalità, poteva
veramente
rovinare qualcuno di essi… Erano stati costretti ad accettare le
decisioni
prese nelle tante riunioni effettuate, affidando la propria fiducia
alle
indiscusse capacità del grande cacciatore giunto dal villaggio
vicino,
nella inscalfibile certezza, tuttavia - valida per ognuno di essi - che
se si fosse fatto per come singolarmente ogni componente del gruppo
riteneva,
la soluzione sarebbe stata assai più rapida e veloce… Alberto
comprendeva
ciò, ed anche per questo aveva profuso ogni sforzo per far
accettare
agli uomini del villaggio la soluzione poi intrapresa: le iniziative
personali,
ammettendo pure una loro validità con presumibili
probabilità
di successo, avrebbero certamente ancor più inasprito i
già
difficili rapporti tra di essi, ed inoltre la vicenda del piccolo
Lorenzo
avrebbe logicamente invalidato ogni progetto di quel genere…
IV.
Il gruppo era ormai in
prossimità
del limite alto del bosco. Le conifere, quassù, lasciavano
velocemente
lo spazio agli arbusti d’alta quota, e sulle praterie d’erba d’un color
verde scuro innumerevoli erano i ciuffi di rododendri sparsi tra grandi
massi a dar tono e vivacità al paesaggio. Poco più sopra,
già s’innalzavano le granitiche nervature del versante
occidentale
della Grande Montagna, ai cui piedi alte mura moreniche segnavano
nettamente
il non troppo lontano passaggio di grandi masse glaciali; a destra e a
sinistra, giusto sul limite tra il bosco e gli alpeggi meglio
sfruttabili,
erano ben visibili le varie baite degli uomini del villaggio, con gli
steccati
che ne delimitavano le proprietà: la sensazione alla vista era
di
un meraviglioso ordine, di una perfetta armonia tra il lavoro recente
dell’uomo
e quello ancestrale della Natura, piuttosto in contrasto con ciò
che si sviluppava qualche centinaio di metri sopra, verso il piede
delle
grandi pareti del massiccio, ovvero il tipico terreno post-glaciale,
dall’erba
rada e bassa ove pochi e rachitici abeti riuscivano chissà come
a resistere all’inclemenza del luogo e del clima, e dall’evidente
natura
carsica: valloncelli poco o tanto profondi si susseguivano l’uno
all’altro
– alcuni con ruscelli spumeggianti le cui acque provenivano
direttamente
dalle fronti glaciali poco più in quota, altri disseminati di
massi
trasportati dal movimento dei ghiacci, altri ancora con piccoli residui
nevosi pur in stagione avanzata…
Alberto osservava attentamente
tutto
ciò che il suo sguardo raccoglieva. Appena dietro, Agostino
pareva
completamente avulso dalla realtà in corso: non aveva in pratica
proferito parola dalla partenza, ed ogni tanto lasciava il sentiero
seguito
dagli altri per inoltrarsi in zone adiacenti allo stesso oppure un poco
nel bosco, a seguire qualche traccia del suo istinto o qualche
indeterminato
presentimento della sua immaginazione… La sua angoscia era evidente,
pure
sull’espressione del viso apparentemente immutabile, ed anche gli altri
lo comprendevano e ne rispettavano la delicatezza del momento, senza
mai
disturbarne il cammino e senza coinvolgerlo nei loro discorsi.
In ogni caso, fino a quel
momento,
ne del piccolo Lorenzo e tantomeno dell’ignoto predatore il gruppo
aveva
trovato una qualche traccia. Pepi ad un tratto si fermò,
estrasse
il binocolo dal proprio zaino e prese ad osservare verso Sud.
- Vedo il gruppo del
cacciatore…
Sono sul crinale che sale verso la Valle Scura… Ma più sotto del
sentiero abituale… Mi pare che si stiano dirigendo più o meno
verso
di noi, se poi ancora non cambiano direzione…
- Mmm… Non vorrei che ci
trovassimo
a convergere verso la stessa zona, sprecando tempo e fatica… - gli
rispose
Alberto, con fare piuttosto preoccupato. Si fece passare il binocolo,
osservò
per qualche secondo.
- Pepi, chiamali, e chiedi
loro
perché non stanno più larghi, più verso Sud… Ci
intralceremo
a vicenda, così proseguendo…
La voce metallica scaturente
dalla
radio che rispondeva alle domande di Pepi gracchiava nell’intensa
quiete
di quel luogo d’alta montagna, rompendo il silenzio e, in qualche modo,
acuendo la tensione che prendeva per un motivo o per l’altro l’animo di
quegli uomini. Essi si erano nel frattempo posti a cerchio intorno ad
Alberto
e Pepi, cercando di tenere sotto osservazione tutti e quattro i punti
cardinali:
si trovavano su un piccolo dosso, da cui si poteva ben osservare buona
parte di quel versante della Grande Montagna; lontano, verso Sud,
alcuni
piccolissimi punti colorati sullo sfondo grigio delle gande segnalava
la
posizione del gruppo al seguito del grande cacciatore. Qualche enorme
cumulonembo
bianchissimo ora passava nel cielo altrimenti limpido, ombrando per
brevi
intervalli dalla possente luce solare vaste zone del versante, tuttavia
la visibilità rimaneva ottima.
- Che dicono laggiù,
Pepi?
- Bah… Dicono che quel
cacciatore
pare abbia percepito dei segnali di passaggio di qualcosa che potrebbe
essere la bestia, ma non ne è sicuro… Ehi, ma ci si deve
veramente
fidare di quel tipo? – chiese con una certa sofferenza Pepi,
interpretando
di sicuro l’animo di molti dei presenti.
- Già! E se il grande
istinto
di quell’uomo giusto oggi sbagliasse? – gli fece eco Igor, un montanaro
corpulento tanto testardo quanto buono, che se ne era rimasto taciturno
fino a quel momento.
Il guardiacaccia
sospirò
profondamente, guardando con una rapida occhiata il viso di quasi tutti
quegli uomini. Soltanto Agostino, in quel momento, se ne restava in
osservazione
sulla vetta del piccolo dosso.
- Signori, non vorrete
nuovamente
mettere in discussione decisioni che comunque tutti voi avete
accettato?!
Vi prego di porre da parte, almeno per qualche ora, il vostro orgoglio
e la vostra diffidenza: certo, potreste aver ragione, ma ora come ora
potrebbe
aver ragione anche lui! – disse, indicando con il braccio sinistro e
l’indice
la posizione del gruppo del grande cacciatore. Tuttavia egli
comprendeva
benissimo la grande angoscia di quella situazione, ed ogni minuto che
passava
senza il riscontro di qualche traccia regalava sempre più ampio
campo all’espandersi delle più terribili ipotesi. La Grande
Montagna
donava in quel suo versante rivolto verso il villaggio un panorama
assai
vasto ed articolato, ma essi erano in tanti, ed ognuno molto esperto di
quelle zone: l’errore peggiore sarebbe stato lasciare che il primo
scoramento
inquinasse la forza di volontà che animava con così
grande
energia il gruppo.
Alberto prese a parlare alla
radio
con il grande cacciatore: in verità, era piuttosto indeciso sul
da farsi. Nel frattempo, gli altri del gruppo, restando sempre assai
vigili,
si rifocillavano un poco.
D’un tratto Sami, uno dei
più
giovani tra i presenti, si levò in piedi, assumendo una strana
postura,
come se fosse rimasto sorpreso di qualcosa più in basso, verso
il
limite del bosco.
Alberto lo osservò, poi
osservò
verso la direzione nella quale il ragazzo guardava, ma non notò
nulla. Nonostante ciò, non fece neppure in tempo a voltarsi
nuovamente
dalla parte opposta.
- Il bambino! Il bambino!
Laggiù,
guardate! L’ho visto!… Il bambino! Laggiù in quel valloncello
che
penetra nel bosco! – prese ad urlare Sami. Tutto il gruppo,
simultaneamente,
si levò in piedi.
- Ha una giaccavento gialla?
Eh?
Gialla, è gialla?
- Sì! Gialla – rispose
Agostino,
il padre, che in un subitaneo impulso nervoso prese a correre verso
quel
punto, parecchi metri più in basso, dove il bosco prende ad
infoltirsi
ed oscurarsi.
- Aspetta! Agostino! Aspetta!
–
Alberto cercò di frenarlo, più che altro per impedirgli
di
muoversi troppo impulsivamente e finire nei pressi di qualche punto
esposto,
ponendosi anch’esso in pericolo, ma fu inutile. Cercò dunque di
smuovere e mettere fretta al gruppo, che velocemente si preparò
per seguire quel tanto agognato segnale visivo.
- Pepi! Chiama gli altri!
Comunica
loro che forse abbiamo avvistato il bambino!
Egli non se lo fece dire due
volte,
e nuovamente la radio gracchiò metallicamente diffondendo le
voci
degli interlocutori nel silenzio di quel versante della Grande
Montagna.
Dovette fermarsi, per mantenere un accettabile livello di trasmissione
e perché la corsa affannosa gli avrebbe impedito un buon uso
della
radio; Alberto, già più avanti con gli altri che
scendevano
verso il bosco tagliando a mezza costa i pascoli per essere più
rapidamente in prossimità del luogo dell’avvistamento, se ne
accorse,
e tornò indietro per sentire ciò che l’altro gruppo,
visto
gli eventi più recenti, comunicava e intendeva fare.
Ma giunto vicino all’amico,
notò
subito sul volto una pallida luce di apprensione, con gli occhi che
osservavano
immobili i suoi come nella ricerca immediata d’una qualche rassicurante
parola per contrastare qualcosa che egli stava udendo dagli altri
sull’altro
versante – qualcosa di non troppo piacevole.
- Che c’è? Che dicono
da
laggiù?
- Dicono che il grande
cacciatore
è certo d’essere sulle tracce della bestia… D’un orso, molto
probabilmente,
e si dice sicuro che sia molto vicino a loro…
- Dunque? Gli hai detto che
abbiamo
avvistato il bambino?
- Ecco… Pare che quell’orso, o
quel
che diavolo è la bestia, sia più o meno nella stessa
zona…
In quel vallone, dove prima Sami ha avvistato il bambino…
Non passò un solo
secondo:
Alberto diede una pacca sulla spalla a Pepi, e prese a correre verso il
resto del gruppo; l’altro capì, e riposta velocemente la radio
nello
zaino, seguì il guardiacaccia a spron battuto.
Il piccolo Lorenzo era
stato avvistato
in una zona ove le caratteristiche del terreno di più alta quota
prima descritte – il susseguirsi di valloncelli più o meno
profondi
e di morfologie tipicamente carsiche – già venivano ricoperte da
un manto boschivo di conifere piuttosto fitto, che rendeva nel
complesso
il paesaggio abbastanza selvaggio e di non facile lettura orientativa.
Apparentemente, la posizione del bambino non distava granché, in
linea d’aria, dal punto d’avvistamento, ma il suo movimento sul terreno
era spesso celato dalle dorsali di tutte quelle vallette, e se egli
avesse
cambiato improvvisamente direzione – per chissà quale impulso
della
propria fantasia – il suo ritrovamento si sarebbe di certo complicato.
Per di più, ora, c’era un ulteriore pericolo, del tutto
imprevedibile,
quell’orso ritenuto in zona dall’esperienza del grande cacciatore: e se
il piccolo fosse venuto in contatto con quello? Che sarebbe potuto
succedere?
Purtroppo, poteva non essere soltanto una questione di reazioni
violente
della bestia all’eventuale visione del bambino: Alberto temeva pure per
qualche colpo di fucile esploso nella foga istintiva e impulsiva
derivata
dalla visione del presunto predatore, che avrebbe potuto ferire
Lorenzo,
in forza di quel solito, maledetto gioco delle coincidenze fortuite che
sovente divengono – chissà come – la norma d’una situazione
imprevedibile.
Il gruppo si ricompattò
nella
scia della folle corsa di Agostino, che certo trovava tutta quella
energia
nell’emozione dell’istinto paterno. Dovevano ormai non essere troppo
distanti
dal piccolo: erano scesi velocemente, ed anche se avesse di colpo
cambiato
direzione, non sarebbe stato certo lontano.
In quel punto, qualche piccola
radura
si apriva nel fitto bosco, e in esse, sul manto di corta erba sempre un
poco inumidita dalla persistente rugiada, alcuni grandi massi giacevano
in ricordi di chissà quali antichi e tremendi sconvolgimenti
naturali
– movimenti glaciali, enormi frane od anche potenti sismi – staccatisi
dai più vicini contrafforti delle pareti della Grande Montagna.
Alcuni di quegli spiazzi ospitavano anche piccole baite di pastori,
mentre
altre, prive d’ogni segno di civiltà, parevano veramente
ciò
che alcune leggende del folclore locale narravano, ovvero zone di
raduno
e d’incontro di spiriti sovrumani, elfi e folletti, o cerchi fatati la
cui magica aura si spandeva nell’intorno protetta e conservata dalla
fitta
coltre silvestre.
Giusto sul margine di una di
quelle
radure, spuntai entrambi d’improvviso dalla densa cortina arborea, i
due
gruppi di ricerca s’incrociarono. Alberto ed il grande cacciatore si
trovarono
faccia a faccia, e poche occhiate d’intesa furono sufficienti a
sostituire
tante altre parole; di conseguenza, fecero subito segno ai propri
uomini
di evitare ogni dialogo, ogni colloquio ad alta voce, limitandosi a
brevissimi
scambi appena bisbigliati e, cosa ancor più importante,
pregarono
loro di evitare qualsiasi suono, rumore e brusco movimento,
mantenendosi
per quanto possibile nell’ombra degli alberi, procedendo al margine tra
quelli e le radure.
Tutta quella prudenza,
d’altronde,
non era eccessiva: essi erano certo vicini sia al piccolo Lorenzo, e
sia
all’orso. Il grande cacciatore ne era sicuro, dacché molti erano
i segnali freschi di passaggio d’un qualche grosso animale: tra i
silenziosi
segni di soddisfazione di molti dei presenti, egli infilò un
paio
di grosse cartucce nelle canne del proprio fucile, poi, in accordo con
Alberto – dietro alle cui spalle vi era, da qualche minuto come
un’ombra,
Agostino – decise di procedere con il gruppo verso destra.
Uscirono dunque da quella
radura,
s’inoltrarono ancora nel bosco. V’erano, effettivamente, su quella
traccia,
dei grossi rami spezzati di recente… Stambecchi, grosse capre… O forse
proprio l’orso… Dopo qualche dozzina di metri di fitta boscaglia,
sbucarono
in un’altra radura, completamente deserta; Rolando e Mattia, due degli
uomini del gruppo, facevano ampi gesti per chiedere di cambiare
direzione,
ma il grande cacciatore, alzando ritta la mano sinistra, diede con
fermezza
la sua disapprovazione, chiedendo di continuare per la via intrapresa.
Nuovamente entrarono nel
bosco,
rimanendo nel silenzio più assoluto. La tensione era palpabile:
molti di quegli uomini non s’erano mai trovati ad avere a che fare con
orsi ed animali selvaggi simili, e pure se la rabbia per i danni
presumibilmente
causati dal predatore braccato era notevole, una certa emozione
certamente
scaturente anche da certe cruente storie del passato narrate nelle
lunghe
serate invernali al villaggio frenava non poco le iniziative più
impulsive di essi.
V.
Proseguirono per pochi
altri, interminabili
minuti, lentamente per evitare ogni possibile rumore, attraversando
avvallamenti,
bassi crinali, ruscelli spumeggianti, fitti tratti di foresta con
sottobosco
inestricabile, alcune altre piccole radure.
Poi, all’unisono, gli sguardi
degli
uomini si puntarono su una piccola macchia gialla che si intravedeva
tra
i grossi tronchi degli alberi, appena fuori dal limite del bosco,
presumibilmente
in una ulteriore piccola radura. Era immobile, poteva certamente essere
lo sgargiante tono dei fiori d’un qualche cespuglio, ma la foga con la
quale Agostino si gettò correndo verso quella visione diede la
certezza
istantanea all’intero gruppo che li vi fosse il piccolo Lorenzo.
Alberto dovette in pratica
placcarlo,
bloccandolo con sé a terra per evitare che la sua
impulsività
paterna – peraltro pienamente comprensibile - potesse causare qualche
ulteriore
guaio; tra l’altro, appena dopo, il suo sguardo si puntò sul
grande
cacciatore, immobile qualche metro più a lato, ed il
guardiacaccia
non poté fare a meno di notare come egli serrasse con gran forza
le mani sul suo fucile già carico, impugnandolo sul calcio e
sulla
canna… Tutto il gruppo si posizionò giusto al margine del
sottobosco,
rimanendo nell’ombra profonda dei grandi alberi, uno accanto all’altro
in osservazione della piccola radura in fronte, ed a tutti fu in breve
chiaro il motivo della grande tensione che dimostrava il cacciatore: il
piccolo Lorenzo, con la sua giaccavento gialla, era lì davanti,
a pochi passi dal gruppo, ritto su un piccolo sasso, apparentemente
sano,
senza alcun danno; di fronte, soltanto a due, tre metri, un enorme
orso,
spaventosamente enorme, di taglia eccezionale come assai raramente se
ne
erano avvistati sulla Grande Montagna, altrettanto ritto su un altro
masso
piatto…
Il guardiacaccia serrò
con
ancor più forza l’abbraccio nei confronti di Agostino, che
percettibilmente
era scosso da tremiti in tutto il corpo, e fece segno a tutti di
restare
nel più assoluto silenzio. Il grande cacciatore si era sistemato
su un piccolo dosso erboso coperto in parte da un cespuglio, ricercando
la massima agevolezza possibile, pronto allo sparo, mentre in alcuni
dei
presenti, lo sguardo agghiacciato ben dava il segnale d’un grande
terrore
verso un tale gigante selvaggio…
Furono istanti interminabili;
ogni
decisione poteva essere quella corretta e parimenti quella errata, e
per
di più andava presa nel giro di pochi secondi… Il grande
cacciatore
teneva il dito indice sul grilletto del fucile, e l’occhio destro
incollato
al mirino ad alta precisione, ma ancora non sparava… Poi, dopo qualche
secondo, se ne staccò, girandosi lentamente verso Alberto ed
Agostino…
Qualcosa di inspiegabile stava
accadendo,
una variabile assolutamente imprevedibile… Il bambino rideva, rideva e
pareva salutare l’enorme orso, per niente intimorito dalla sua
imponente
massa… E, fatto ancor più eccezionale, l’orso rimaneva
perfettamente
tranquillo, senza mostrare segni di fastidio e di irritazione,
osservando
il piccolo che addirittura prese a corrergli intorno, a parlargli
continuamente
ridendo…
Il cacciatore era allibito.
Mai
aveva notato in un grande orso selvaggio un comportamento del genere…
Pareva,
per assurdo, che anch’esso si divertisse dell’allegria del piccolo
bambino…
Lorenzo, ad un tratto, si mise
a
gridare verso l’orso:
- Sei tu! Sei tu il re della
Grande
Montagna! Sì, sei tu!…
E nuovamente prese a ridere
gioiosamente…
All’improvviso, Pepi si
scagliò
verso Alberto, esclamando non certo silenziosamente:
- Accidenti, perché non
gli
spara quel maledetto? Che sta aspettando?
- Già! Spara, spara! –
gli
fece eco Rolando, che nell’alzarsi dalla posizione acquattata che aveva
assunto, ruppe un piccolo ramo secco sul quale era in parte appoggiato.
Lo schiocco del ramo spezzato
si
udì nettamente nel silenzio della situazione in corso. Il grande
orso si voltò di scatto verso la zona di bosco ove il gruppo era
nascosto, poi, con uno scatto notevole per la mole imponente del
proprio
corpo, saltò dal masso ove si trovava e corse via, sulle quattro
possenti zampe, sparendo presto verso la direzione opposta nella fitta
foresta, mentre Lorenzo continuava a salutarlo con ampi gesti delle
piccole
braccia e con sonori “Ciao!”…
Com’è forse già
intuibile,
il grande cacciatore non sparò.
Il piccolo Lorenzo
tornò dunque
a casa sano e salvo, con immensa ed irrefrenabile gioia dei genitori;
felice
come al ritorno da un parco di divertimenti, egli continuava quasi
incessantemente
a raccontare che aveva un nuovo amico, un nuovo grande amico, il grande
orso “re” della Grande Montagna, e che un giorno sarebbe tornato a
trovarlo,
lassù tra le maestose foreste del massiccio.
Meno festoso fu il ritorno
degli
uomini del gruppo, che continuamente accusavano il grande cacciatore di
non aver risolto la loro grave situazione, di aver dimostrato paura e
debolezza
per non aver abbattuto il grosso orso… Tuttavia, egli disse ai pastori
del villaggio che era stato giusto così, che l’istinto
così
celebre sì da renderlo assai rinomato in tutte le vallate della
Grande Montagna, eleggendolo al titolo di miglior cacciatore sulla
piazza,
questa volta gli aveva indicato qualcosa di diverso, di particolare,
che
i suoi occhi avevano anche confermato: egli, per la prima volta in vita
sua, aveva visto in quell’orso qualcosa di profondamente umano – se
umane
si possono definire certe emozioni e sensazioni forse presenti in ogni
creatura vivente, semmai in modi e forme diverse e non semplicemente
rilevabili
dall’intelletto umano… Vi era in quella bestia selvaggia una profonda
presenza
d’un sentimento di consapevole tenerezza, forse la comprensione della
pacifica
bontà di quel cucciolo di “essere” umano, che nella sua
ingenuità
infantile aveva avuto il gran pregio di avvicinare il grande orso senza
alcuna paura e senza volontà di aggressione, e forse l’orso
aveva
compreso ciò, e aveva adattato il proprio atteggiamento di
conseguenza…
Sì, poteva essere quella la soluzione di quella sorta di
miracoloso
mistero al quale tutti gli uomini del gruppo avevano assistito: scevro
da ogni possibile proposito di supremazia e di sopraffazione nei
confronti
di un’altra creatura vivente – “peculiarità” così diffuse
negli umani adulti – il piccolo Lorenzo aveva inconsapevolmente
dimostrato
il giusto atteggiamento verso la Natura ed il suo mondo d’intorno,
ritenuta
dall’uomo civilizzato “selvaggia” forse soltanto perché non del
tutto comprensibile in ogni suo incredibile e misterioso segreto…
Il grande cacciatore non se
l’era
dunque sentita di uccidere quel grande orso, che, incredibilmente,
aveva
così inopinatamente sentito vicino alla sua natura ed alla sua
essenza
di creatura vivente…
La questione delle razzie
dei capi
di bestiame nei pascoli della Grande Montagna si risolse poi, qualche
giorno
più avanti, praticamente da sola: prima un escursionista
trovò
in un fosso dei resti di una pecora sbranata con accanto, impressi nel
terriccio inumidito, degli evidenti segni di zampe canine; poi fu un
pastore
ad avvistare e mettere in fuga un piccolo branco di grossi cani
presumibilmente
randagi, finiti chissà come lassù, tra le praterie della
Grande Montagna, e che manifestamente intimoriti dalla veemente
reazione
dell’uomo – che non esitò ad esplodere numerosi colpi di fucile
verso il branco, forse colpendo qualcuno di quegli animali – in quelle
zone non vennero più avvistati.
(Calolziocorte, 07 Luglio
2001)
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